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martedì 23 ottobre 2012

Occhio all'etichetta !!!!



18/10/2012 - 


Spesso sul nostro piatto arrivano cibi ricchi di tecnologia e poveri in gusto. L’industria alimentare ci offre cibi facili da reperire e a basso costo a scapito di alimenti completi che non contengono ingredienti estranei al mondo dell’edibile. Ne parleremo durante il Salone del Gusto e Terra Madre alla Conferenza Quanto “non-cibo” mangiamo?.
Intanto vi proponiamo un utile vademecum per fare attenzione agli ingredienti e leggere le etichette.

Preparati a base di frutta e latte
        
L’alimentazione dei bambini è importante, giusto? Bisogna educarli a mangiare cose sane, a consumare tanta frutta e tanta verdura, a evitare il più possibile merendine confezionate e patatine. E allora, cosa c’è di meglio di una merenda a base di latte e frutta? Già, peccato che, sebbene la confezione reciti «senza conservanti», nel prodotto ci siano aromi e addensanti. Per non parlare di quel bel colore acceso, che piace tanto ai bambini, dato da ben due coloranti, E100 e E120.

Formaggi industriali


Di cosa sono fatti i formaggi? Sembra una domanda a cui è facile rispondere: latte, sale, caglio. E invece, in questi formaggi trovati sugli scaffali la lista degli ingredienti si allunga a dismisura. Amidi modificati, correttori di acidità, addensanti. C’è perfino un conservante come l’E235, dall’elevata tossicità: l’etichetta però ci informa servizievole che è solo sulla buccia. Ecco, allora sì che la faccenda è diversa… per non parlare di quella generica dicitura formaggio, al primo posto nella lista ingredienti. Quante cose si possono celare dietro quella parola, quanti altre sofisticazioni di cui evidentemente non abbiamo il diritto di essere informati?

Tramezzini al supermercato


La lista degli ingredienti di questi tramezzini si commenta da sola. Ho voglia di uno spuntino leggero e veloce, e mi ritrovo a mangiare una quantità esorbitante di addensanti, emulsionanti, conservanti e compagnia bella. E anche un po’ di olio di colza, tanto per gradire.

Piatti pronti


Non sempre si ha il tempo per prepararsi un pranzo come si deve, o una cena con tutti i crismi. Ecco allora l’irresistibile richiamo di tutte quelle preparazioni che promettono di farci risparmiare tempo e fatica. Il preparato per purè fatto con «patate fresche attentamente selezionate», a cui però sono stati aggiunti emulsionanti, stabilizzanti, antiossidanti. Le verdure già pronte per frittata, un vero e proprio concentrato di additivi – sai che fatica a lavarle e mondarle da solo?

 “Cibi sani”


Da qualche anno ormai siamo bombardati da reclame di prodotti sani, dietetici, a zero grassi, zero calorie, zero tutto. Uno dei trend maggiormente in crescita è quello dei cereali integrali: un buon pane di segale, ricco di fibra, è perfetto per chi sta attento al benessere del proprio corpo. Già, peccato che oltre alla fibra, dentro ci siano conservanti e acidificanti. E il pollo che, come recita la confezione, è «leggero», «con massimo l’1%di grassi»? Compensa i grassi perduti con un numero esorbitante di additivi. E chissà di che colore era prima che ci aggiungessero il colorante caramello…

Fonte: Slow Food 

venerdì 12 ottobre 2012

UNO STOP AL CONSUMO DI SUOLO









di Raffaele Lungarella 12.10.2012
Meritoriamente il Governo approva un disegno di legge per la valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo del suolo. Prevede diverse iniziative i cui risultati dipenderanno dall'attuazione che ne sarà data. Ma la procedura per disegnare la geografia delle aree edificabili nel nostro paese sembra macchinosa e potrebbe innescare conflitti tra territori e tra livelli istituzionali. Meglio sarebbe se ai comuni fosse consentito di approvare nuovi piani attuativi di aree già edificabili solo dopo la conclusione di quelli varati in precedenza.
Su proposta del ministro per le Politiche agricole, il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge quadro sulla valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo del suolo(1)
L'obiettivo - meritorio - dell'iniziativa è porre un freno a quella che Italo Calvino, nel suo romanzo La speculazione edilizia, chiamava "la febbre del cemento": la bramosia di edificare anche dove e quando non serve, alimentata dall'alleanza tra il potere politico-amministrativo, ampiamente inteso, e l'insieme degli operatori economico-professionali del settore dell'edilizia.
A leggere sul sito del Governo il comunicato che illustra il contenuto del disegno di legge, si resta sorpresi da una certa veemenza del lessico: l'obiettivo è "di disincentivare il dissennato consumo di suolo", al quale ci si è abbandonati finora (nel comunicato si ricorda che "in Italia ogni giorno si cementificano 100 ettari di superficie libera"). La novità del ricorso ad aggettivi con forte connotazione negativa è il segno della necessità di porre un argine a quella parte dell'edificazione gonfiata da aspettative speculative.
BUONI PROPOSITI IN ATTESA DI FATTI
Per perseguire i suoi buoni propositi, il Ddl prevede il ricorso ad alcune misure puntuali e a uno strumento di pianificazione di portata più generale. È da quest'ultimo che ci si attende il maggior contributo alla salvaguardia del suolo agricolo, contenendone la trasformazione in edificabile; ma è anche quello che suscita qualche perplessità.
Quanto alle iniziative di carattere specifico, sono diverse e i risultati che sarà possibile conseguire dipenderanno dal come ognuna sarà attuata. Viene vietato, per almeno dieci anni, il cambio della destinazione d’uso dei terreni agricoli che hanno usufruito di aiuti di stato o comunitari (art. 3); si incentiva il recupero del patrimonio edilizio rurale (art. 4); presso il ministero delle Politiche agricole è istituito un registro dei comuni virtuosi che economizzano il consumo del suolo agricolo (art. 5); si abroga (art. 6) la normativa che autorizza i comuni a impiegare una parte (arrivata fino al 75 per cento del totale) degli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente.
 ONERI DI URBANIZZAZIONE PER STRADE E SCUOLE
Quest'ultima previsione è particolarmente rilevante. La distrazione di una quota degli oneri di urbanizzazionedalle loro finalità naturali di finanziare la realizzazione di strade, fognature, acquedotti (opere di urbanizzazione primaria), scuole, palestre (opere di urbanizzazione secondaria), è stato un modo per addolcire l'opposizione o ottenere l'assenso dei cittadini alla trasformazione di terreno agricolo in aree edificabili anche quando non servivano. Ai cittadini si è proposto uno scambio tra espansione edilizia e minori tasse per pagare i servizi di cui beneficiano. Nell'immediato hanno la percezione di un vantaggio, perché non mettono in conto che essi stessi e i loro figli e nipoti dovranno pagare i costi dell'accresciuta domanda di servizi indotta dalla nuova edificazione.
Il solo impiego di una quota degli oneri di urbanizzazione per coprire la spesa corrente amplifica di per sé il "dissennato consumo di suolo". Quando viene edificata una nuova area, le opere di urbanizzazione devono essere comunque fatte, se non si vogliono costruire ghetti senza strade, scuole e servizi. Poiché il comune non può sostenerne la spesa, vengono realizzate dalle imprese coinvolte nelle lottizzazioni, le quali vengono compensate con premi di superfici edificabili.
CHI DECIDE QUANTO COSTRUIRE
Restituire la totalità degli oneri di urbanizzazione alla loro originaria finalità è senz'altro opportuno, non è, però, sufficiente a bloccare il consumo del territorio originato dalla speculazione - che, infatti, avveniva anche quando gli oneri non erano destinati in parte a spesa corrente. Per questo il governo propone un intervento molto più radicale, ma sulla cui efficacia e operatività è difficile scommettere.
Con un decreto interministeriale (Agricoltura, Ambiente, Infrastrutture e trasporti) "è determinata l'estensione massima di superficie agricola edificabile sul territorio nazionale" (comma 1, art. 2 del Ddl). In sostanza, tenendo conto del terreno agricolo disponibile, di quanto già edificato, degli immobili non utilizzati, della domanda di case e infrastrutture, vengono calcolati dei "numeroni" su quanti metri quadrati di abitazioni, capannoni, strade eccetera devono essere costruiti in Italia. Questa superficie agricola edificabile viene ripartita tra le Regioni, le quali, a loro volta, la suddividono tra i comuni, considerando anche la loro popolazione.
Il Ddl non dettaglia i criteri per la determinazione, con cadenza decennale, dell'estensione di superficie agricola edificabile a livello nazionale, né quelli per sua ripartizione ai livelli territoriali sottostanti.
Il meccanismo, però, richiama alla mente la pianificazione di stampo sovietico e rischia di produrre effetti inefficaci e paradossali non dissimili da quelli che si verificavano in Urss: là i campi venivano annaffiati anche mentre pioveva, perché così era programmato, da noi si corre il rischio che a Regioni e comuni con un sovrappiù di capacità edificatoria rispetto alle esigenze, facciano da contrappunto Regioni e comuni con un deficit, perché quella è la situazione determinata dalla ripartizione territoriale dell'ammontare nazionale di suolo agricolo edificabile (ammesso, e non concesso, che tale ammontare rifletta il reale fabbisogno del paese).
UNA MISURA TRANSITORIA
La procedura che dovrebbe disegnare la geografia delle aree edificabili nel nostro paese sembra macchinosa e foriera anche di innescare una conflittualità tra territori e tra livelli istituzionali. Di certo, se mai sarà attuata, comporterà una spoliazione delle competenze in materia di pianificazione urbanistica ora esercitate da Regioni e (soprattutto) comuni, senza, tuttavia, la certezza di conseguire l'obiettivo.
L'intervento dello Stato potrebbe essere molto più efficace se, in attesa di una più ponderata riforma delle norme sul governo del territorio, inducesse le amministrazioni comunali a una maggiore parsimonia nella definizione e attuazione delle previsioni dei loro strumenti urbanistici. Un buon passo avanti, per esempio, potrebbe essere una misura transitoria che consenta ai comuni di approvare nuovi piani attuativi di aree già edificabili solo successivamente alla totale attuazione di quelli approvati in precedenza. In questo caso, anche le aree già trasformate in edificabili dal Prg, sfuggirebbero alla "dissennata cementificazione" finché non vi fossero reali bisogni da soddisfare e non fosse possibile farlo in altro modo. Sembra una piccola cosa, ma potrebbe dare grandi risultati.
(1)
http://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/1%252F2%252F7%252FD.3f8d25f4e6a232516380/P/BLOB%3AID%3D5269

fonte:  LA VOCE